Lo sport del passato ha consegnato alla nostra memoria personaggi irripetibili e affascinanti, dallo spessore umano fuori dal comune. Il tempo e la storia li hanno trasformati in simboli universali di forza morale e libertà espressiva, sempre nel rispetto delle regole. Le vite sorprendenti di sei miti dello sport mondiale sono raccontate dalla voce di chi li ha conosciuti di persona e ha imparato che la differenza tra uno sportivo e una leggenda è tutt’altro che sottile.
“A bordocampo. Le storie di sport di Adalberto Scemma.” è un podcast di Adalberto Scemma, firma storica di molte testate nazionali, inviato speciale di tutti i grandi avvenimenti sportivi, dai Mondiali di calcio alle Olimpiadi, e docente di letteratura e scrittura sportiva.
Credits:
post produzione Niccolò Ferrari
sigla di Ultimo Piano
voce sigla di Andrea Diani
produzione di Storie avvolgibili
Adalberto Scemma racconta come è nata la serie “A bordocampo”.
Esplora il mondo di “A bordocampo”
Lo sport del passato ha consegnato alla nostra memoria personaggi irripetibili e affascinanti, dallo spessore umano fuori dal comune. Il tempo e la storia li hanno trasformati in simboli universali di forza morale e libertà espressiva, sempre nel rispetto delle regole. Le vite sorprendenti di sei miti dello sport mondiale sono raccontate dalla voce di chi li ha conosciuti di persona e ha imparato che la differenza tra uno sportivo e una leggenda è tutt’altro che sottile.“A bordocampo. Le storie di sport di Adalberto Scemma.” è un podcast di Adalberto Scemma, firma storica di molte testate nazionali, inviato speciale di tutti i grandi avvenimenti sportivi, dai Mondiali di calcio alle Olimpiadi, e docente di letteratura e scrittura sportiva.
Nándor Hidegkuti
26 novembre 1953. In quella che è stata considerata a lungo la “partita del secolo”, a Wembley l’Ungheria bastona l’Inghilterra 6 a 3. L’imprendibile Nándor Hidegkuti, marcato a vista da Wright, numero uno al mondo nel ruolo di centromediano, mette a segno addirittura tre reti.
Fantasioso, tecnico, intelligente tatticamente, Hidegkuti è il cervello della “Aranycsapat”, la Squadra d’oro, come veniva chiamata la Grande Ungheria di Puskas, Kocsis e Czibor. Lui ne era il centravanti arretrato: farlo giocare come attaccante di manovra dietro a due punte vere è stata un’intuizione che ha segnato una tappa fondamentale per l’evoluzione tattica moderna, dal “falso nueve” al “tiki-taka”.
Da allenatore, dopo un anno al suo MTK Budapest (che gli ha intitolato lo stadio), ha vinto una Coppa delle Fiere (poi divenuta Coppa delle Coppe) con la Fiorentina, per poi approdare in sordina al Mantova.
Armand Duplantis
A 12 anni fu colto da un dubbio: «E se mi piacesse di più il baseball?». Per fortuna, o per volere del fato, decise che no, amava più l’atletica. Poi a soli 21 anni la World Athletics lo nomina atleta del 2020. Già fenomeno assoluto. Con l’asta, Armand Duplantis era già volato oltre Serhij Bubka al Golden Gala “Pietro Mennea” di Roma e oggi detiene il record mondiale di specialità con la misura di 6,18 metri, grazie all’agilità e alla velocità disarmanti con cui sfida le leggi della fisica.
È allenato dal padre, lo statunitense Greg Duplantis, ex astista a sua volta; la madre è una ex eptatleta e pallavolista svedese. Primo ventenne a saltare oltre i 6 metri, Armand è un prodigio nato in Louisiana, ma di nazionalità Svedese. “Mondo” – come lo chiamano gli amici – si sta letteralmente prendendo la storia un centimetro alla volta, lasciando con il fiato sospeso gli spettatori proprio come se stessero saltando con lui.
László Kubala
Nel 2013 i soci che hanno almeno dieci anni di militanza nel Barcellona sono chiamati a votare il miglior attaccante blaugrana di sempre. Non sarà Messi a essere eletto, non i vari Ronaldo, Crujiff e Maradona. Ma László Kubala Stecz. È dedicata a lui la statua in bronzo che campeggia di fronte alla tribuna d’onore del Neu Camp.
La storia di Kubala è un viaggio . Inizia con le partitelle improvvisate nel quartiere vicino alla famosa Via Paal di Budapest. Prosegue con la fuga dal Ferencváros – la squadra che fa conoscere il suo nome nei salotti che contano – per disertare dalla chiamata alle armi nel 1946. Passa per l’Italia, dove il presidente del Pro Patria riesce a tesserarlo e a fargli giocare qualche amichevole, ma solo perché per un’improvvisa malattia del figlio Kubala non può vestire la maglia del Grande Torino nell’amichevole contro il Benfica di Eusebio, sfuggendo così alla tragedia di Superga.
Non può esordire in Serie A a causa della squalifica inferta per aver tradito la patria e allora fonda una sua squadra amatoriale, composta da esuli e rifugiati dell’Est Europa: l’Hungaria. Durante una tournée spagnola, il direttore generale del Barcellona Pepe Samitier gli offre un ingaggio e gli fa ottenere il passaporto spagnolo. La FIFA riduce la squalifica in virtù della nuova nazionalità e il resto è storia blaugrana.
Billy Mills
Erano già dell’australiano Ron Clarke i 10.000 metri piani. Suo il record mondiale, non c’era storia. Ma le Olimpiadi di Tokyo del 1964, le stesse per le quali furono messi in funzione i treni monorotaia da 400 km all’ora, avevano ben altro in serbo per lasciare tutti a bocca aperta.
Sulla terra rossa dello stadio olimpico Kokuritsu – terra, non ancora tartan – si corre l’importante gara di mezzofondo e tutti attendono Clarke, il tunisino Gammoudi e il sovietico Bolotnikov, campione in carica. Ma sul rettilineo finale, quando solo uno spunto insperato ti può salvare se non sei già davanti, lo statunitense Billy Mills recupera oltre venti metri sui due di testa e taglia il traguardo per primo.
Dalle Olimpiadi alla corsa campestre più famosa al mondo, la “Cinque mulini” di San Vittore Olona, dove nel 1965 Adalberto Scemma ha l’occasione di correre al fianco del neo campione. Mills, che in inglese vuol dire proprio “mulini” – al destino piace unire i puntini – racconta tutto di sé al giovane giornalista italiano. Una storia che nessuno degli spettatori di quella storica 10.000 conosceva.
William Mervin Mills, tenente dei Marine, è pellerossa Lakota. Il suo nome Makata Taka Hela vuol dire “ama la tua terra”. Insomma, Billy doveva crederci in quegli ultimi metri di terra nipponica. Proprio come i grandi capi indiani, che continuavano a combattere anche quando tutto era contro di loro.
Alberto Juantorena
In patria, a Cuba, non per niente lo chiamano “El Caballo”. E quando Alberto Juantorena Danger, nella finale degli 800 metri alle Olimpiadi di Montreal del 1976, parte al galoppo con una stupefacente falcata di oltre due metri, tutti capiscono il motivo. Nessuno avrebbe scommesso sul velocista e mezzofondista cubano, perché fino a quel momento la tattica e l’esperienza avevano sempre fatto la differenza sul doppio giro di pista. Ma poi è l’epica sportiva a chiedere spazio su quella pista canadese e così
Juantorena è ancora l’unico atleta ad aver vinto sia i 400 che gli 800 metri piani nella stessa edizione dei Giochi.
Nato a Santiago de Cuba nel 1950, culla della Rivoluzione, Alberto porta con sé quello spirito di rottura. Nella seconda puntata del podcast “A bordocampo”, Adalberto Scemma intreccia la vicenda sportiva con quella umana: una vita meravigliosamente rappresentata da quella falcata impressionante da 2.70 metri di ampiezza, quasi 30 centimetri in più di quella del campione Husain Bolt.
Pietro Mennea
Pietro Mennea è stato uno dei più grandi velocisti italiani, ha detenuto il record del mondo nei 200 metri per 17 anni. Adalberto Scemma l’ha incontrato ormai a carriera finita, in occasione di una serie di incontri nelle scuole per raccontare assieme ai ragazzi “La favola dello sport”.
Nel primo episodio della serie “A bordocampo. Le storie di sport di Adalberto Scemma” l’autore racconta l’uomo dietro l’atleta, acceso dalla passione per lo sport e per la libertà.
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