Serie podcast:

Jochen Rindt

Diego Alverà racconta i miti della velocità

Jochen Rindt aveva uno stile di guida spettacolare, aggressivo ed esuberante. Affrontava le curve come se volesse correggerne il raggio, intraversando la vettura e lavorando con il volante nel tentativo di recuperare trazione. Incredibilmente, fu però un’improvvisa e inattesa sbandata alla fine di un lungo rettilineo a decidere prematuramente della sua sorte.

Credits:

Testo di Diego Alverà
Voce di Diego Alverà
Musiche originali di Niccolò Ferrari
Post produzione e sound design di Niccolò Ferrari

Post produzione e ricerche di Biagio de Manincor e Ultimo Piano
Sigla di Ultimo Piano
Voce sigla di Andrea Diani
Produzione di Pensiero visibile e Osteria Futurista

Jochen Rindt:


eva ben tre soprannomi diversi Jochen Karl Rindt. La stampa specializzata descriveva il suo temperamento focoso in pista chiamandolo “grindt”; i tifosi gli avevano appiccicato l’epiteto “dynamite”, perché il piede sull’acceleratore era davvero pesante; e poi c’erano alcuni giornalisti che lo chiamavano “tiger” per via del naso schiacciato. Ma queste erano solo parole, perché poi Jochen era il più veloce e basta. Il pilota che, nonostante il mal d’auto di cui soffriva a causa del casco integrale che non sopportava, aveva messo in fila tutti a bordo dell’avveniristica Lotus nel 1970.


Quel Mondiale Piloti lui era destinato a vincerlo e, anche se la sorte, una macchina futuristica ma pericolosa e una buca si erano messe d’accordo per fermarlo, quella volta l’uomo battè il destino: il fatale incidente durante le prove libere del Gran Premio di Monza, quando era primo in classifica, non fu sufficiente a fargli perdere il titolo iridato perché il compagno di squadra Emerson Fittipaldi fece la sua parte e impedì a Jacky Icks di superare Jochen. È così che l’austriaco è stato il primo, e tutt’ora l’unico, campione del mondo postumo.

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