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Il podcast che ascolto di solito è effettivamente un podcast?

Ammettiamolo, c’è confusione. Se vi siete mai trovati ad affrontare una conversazione sulle vostre abitudini di ascolto, oltre alla musica, quasi sicuramente vi sarete trovati a parlare dei programmi radio e dei podcast che seguite. Apparentemente tutto nella norma. Se però avete continuato quella conversazione, potrebbe darsi che ad un certo punto vi siate trovati in difficoltà nel delineare dei confini netti fra i due prodotti audio, magari fino a rischiare di sovrapporli, soprattutto se vengono toccati catch-up radio (ovvero le registrazioni dei programmi radio che si possono trovare sulle diverse piattaforme di distribuzione). “

“Io ascolto il podcast de La Zanzara su Spotify” oppure “a me piacciono i podcast de Lo Zoo che trovo sull’app di Radio 105”.

Già, capita spesso. Questo articolo ha l’obiettivo di fare un po’ di chiarezza e distinguere in modo deciso due parole diverse ma soprattutto due media quasi per nulla sovrapponibili.

In che modo fruiamo dei contenuti?

Nell’epoca dell’internet mobile ci siamo abituati a considerarci a un click sullo smartphone di distanza da qualsiasi contenuto (audio o video che sia) e questo almeno dal 2008, quando Steve Jobs presentava al mondo il primo IPhone. La crescente permeazione di internet nelle nostre vite, anche e soprattutto grazie a quegli aggeggi accattivanti e facili da usare che facevano da telefono, mp3, blocco note e fotocamera tutto insieme, hanno messo l’utente al centro di un universo di possibilità di intrattenimento.

Il risultato di ciò si traduce in un controllo totale sul tempo e lo spazio che i contenuti possono avere nella nostra vita di tutti i giorni. Non più fruizione passiva, anzi ora sono le aziende che producono intrattenimento a dover rincorrere per sperare di inserirsi nella nostra customer journey. Ecco allora nascere aziende come Spotify, Netflix, Prime Video, Apple Music, Deezer, Chili – e chi più ne ha più ne metta – che propongono ai propri utenti contenuti quasi esclusivamente on demand.Questa tendenza verso l’on demand è stata tanto rilevante da costringere anche i media più strutturati e presenti da decenni sul mercato a cambiare orizzonti: cinema, giornali cartacei, TV e radio si sono dovuti mostrare al passo coi tempi, pena il fallimento. Volendo circoscrivere il ragionamento al solo mondo dell’audio, ecco che la trasformazione portava alla nascita di un vero e proprio nuovo media: il digital audio.

Che cos’è il digital audio?

Secondo il Whitepaper stilato da OBE (Osservatorio per il Branded Entertainement) il digital audio si divide in quattro categorie:

  • Il simulcast, ovvero i contenuti radiofonici in diretta diffusi in FM/AM/DAB ritrasmessi in streaming e fruibili da app per smartphone, siti internet smart speaker, ecc…
  • Le webradio, composte da contenuti in diretta non personalizzabili dall’utente, le quali possono essere sia estensioni delle radio tradizionali oppure operanti unicamente in rete – ecco un esempio.
  • I Pure Play, cioè quei contenuti musicali o vocali offerti tramite le app delle aziende di intrattenimento – come, ad esempio, l’app di Radio 105. Questi contenuti sono personalizzabili dall’utente poiché è possibile organizzarli in playlist e scegliere quali fruire
  • I podcast, cioè quei contenuti audio fruibili on demand inediti e nativi di questo media, che inoltre sono stati scritti squisitamente per l’ascolto audio e aventi una durata definita  – ecco un esempio.

È interessante notare come, nella definizione in quattro punti data da OBE, non vengano inclusi gli audiolibri. Questo si spiega in quanto i libri sono contenuti creati originariamente per essere letti e non ascoltati. Perciò la loro trasposizione in audio costituisce una fase secondaria della vita del contenuto, escludendo dal media del digital audio. La definizione esclude dall’insieme dei podcast anche i programmi radiofonici trasmessi in diretta e ricaricati sotto forma di registrazione sulle piattaforme, i cosiddetti catch-up radio. Definizioni simili sono essenziali per gli operatori del settore, in quanto definiscono i modi attraverso cui i contenuti audio possono monetizzare grazie alle pubblicità.

Che confusione!

Allora è sbagliato dire, ad esempio, che si ascolta il podcast de La Zanzara?

La risposta è: tecnicamente sì

Però, per i non addetti ai lavori questa confusione è ben giustificata! Quasi tutti i contenuti audio citati sopra, dai Pure Play alle webradio,  sono spesso fruiti sulle stesse piattaforme – Spotify, Spreaker, Deezer, Amazon Music, …  – dove si contendono uno spazio di ascolto durante la giornata degli utenti. 

Se per ora è abbastanza comune, nel nostro Paese, confondere, sovrapporre o scambiare podcast e catch-up radio, noi della redazione siamo convinti che l’uso di termini appropriati avverrà in definitiva solo in modo graduale, sull’esempio statunitense degli ultimi anni. Dopotutto, c’è chi sostiene che oltreoceano siano addirittura 10 anni avanti nel futuro rispetto al resto del mondo.

 Non ci resta che stare a vedere o per meglio dire, a sentire.

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